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Una rete sociale (in lingua inglese social network) consiste in un qualsiasi gruppo di individui connessi tra loro da diversi legami sociali. Per gli esseri umani i legami vanno dalla conoscenza casuale, ai rapporti di lavoro, ai vincoli familiari. Le reti sociali sono spesso usate come base di studi interculturali in sociologia, in antropologia, in etologia.

L’analisi delle reti sociali, ovvero la mappatura e la misurazione delle reti sociali, può essere condotta con un formalismo matematico usando la teoria dei grafi. In generale, il corpus teorico ed i modelli usati per lo studio delle reti sociali sono compresi nella cosiddetta social network analysis.

La ricerca condotta nell’ambito di diversi approcci disciplinari ha evidenziato come le reti sociali operino a più livelli (dalle famiglie alle comunità nazionali) e svolgano un ruolo cruciale nel determinare le modalità di risoluzione di problemi e i sistemi di gestione delle organizzazioni, nonché le possibilità dei singoli individui di raggiungere i propri obiettivi.

Come funziona il ddl per tracciare l’identità degli utenti sui social media

tratto da: Wired
La proposta di legge di tre senatori si concentra sulla possibilità di tracciare l’identità online degli utenti e prova a mettere paletti anche sulla questione disinformazione

La linea di Theresa May nel Regno Unito deve essere stata d’ispirazione. I senatori Lorenzo Battista, Luis Alberto Orellana e Franco Panizza hanno presentato un disegno di legge che vorrebbe introdurre “filtri di autenticazione” capaci di tracciare l’identità degli autori di contenuti sui social media.

Quello che si aspettano i tre promotori, secondo quanto si apprende, è che vengano utilizzati “sistemi e servizi tecnologici atti a garantire la certezza della tracciabilità dell’identità al fine dell’intervento da parte delle autorità competenti in caso di reati commessi mediante internet”.

Al centro della proposta, quindi, di nuovo il tema della sicurezza: chi non rispettasse le linee di trasparenza ricercate, andrebbe incontro a sanzioni “efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità delle violazioni”.

Il che va in controtendenza con quanto proposto invece dal Parlamento Europeo che, in tema di trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, chiede non solo che la crittografia sia obbligatoria, ma anche che non vengano contemplati punti d’accesso che violino i parametri di sicurezza scelti.

I confini del ddl si espandono, fino a lambire i confini della disinformazione: “La rete, attraverso i propri utenti, si autoalimenta di contenuti informativi riproducendo repliche e creando nuove, ma pur sempre identiche, fonti di informazione. Il pregiudizio prodotto diventa oggettivamente irreparabile se si considerano le caratteristiche proprie della rete, per le quali risulta spesso impossibile che una data notizia, una volta immessa, possa essere definitivamente eliminata dal mondo del web, essendo destinata a quella che è stata definita eternità mediatica” — osservazione che sembra non tener conto del diritto all’oblio.

Buone notizie, invece, sul fronte sicurezza in caso di emergenze: un altro disegno di legge è al vaglio della Commissione Lavori pubblici del Senato. Tenendo conto dell’esperienza dei “Safety Check” di Facebook, la proposta introduce modifiche al Codice delle comunicazioni elettroniche, intendendo inserire “l’obbligo per tutte le reti di telefonia e internet in concessione di mettere a disposizione un canale safety check, mediante il quale gli operatori lanciano l’allerta verso i cellulari agganciati alle celle in una data area, con possibilità di rispondere con modalità semplici ed immediate a tale messaggio di allerta”. Facebook, recentemente, ha proprio pensato nuovi modi e strategie per rendersi utile in caso di disastri, attraverso mappe da condividere con gli operatori del settore.

La prima mappa del ‘lato oscuro’ del web. ”Così odio, insulti e fake news viaggiano online

Lo studio dell’University College London ricostrusce le sorgenti e la diffusione dell’odio politico, razziale e antifemminista su internet a partire da 4chan, uno degli ”angoli più bui della Rete”. Nel team l’italiano Gianluca Stringhini: ”La violenza verbale amplificata via YouTube. Poi vengono Wikipedia e Twitter”

ROMA – “Lo studio contiene un linguaggio che può disturbare il lettore”. Non è una frase che si legge di frequente in un paper scientifico. Ma questa volta nel mirino dei ricercatori è finito il ventre oscuro di internet. Quel pozzo pieno di miasmi che vomita ingiurie, notizie false, incita all’odio, conia insulti razzisti, confonde le donne con la pornografia.

“Volevamo capire come questo linguaggio si propaga su internet. E siamo partiti dal sito 4chan” spiega Gianluca Stringhini, 33 anni, laurea in informatica a Genova e dottorato a Santa Barbara, università della California. “Ho fatto una tesi sul cybercrime. Allora non esistevano le fake news”. Ma il mondo di internet degenera in fretta. Oggi Stringhini è assistant professor all’University College London e con un gruppo di colleghi ha avuto l’idea di cercare quali sono le sorgenti dell’odio politico, razziale e antifemminista su internet.

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“Abbiamo seguito 4chan.org per vari mesi durante la campagna elettorale e i primi mesi di presidenza di Donald Trump” spiega. “Poi abbiamo studiato come fake news, insulti e incitamenti all’odio debordano su Youtube, Facebook e Twitter. Lungo il percorso vengono amplificati, a volte anche di molto”. La ricerca di Stringhini e dei suoi colleghi, di cui parla anche la rivista Nature, è pubblicata sul sito arXiv (.pdf).

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Non è un caso che come punto di partenza si sia scelto 4chan, il sito di discussioni dell’alt-right che sostiene Donald Trump. Qui l’offesa “nigger” compare 120 volte all’ora. Alla metà della velocità viaggiano “faggot” e “retard”. “E’ uno degli angoli più bui del web” scrivono i ricercatori. “E anche uno dei più influenti generatori della cultura di internet”, zeppo “di odio, pornografia, provocazioni e perfino confessioni di omicidio”. Da qui, dove ognuno può scrivere ciò che vuole senza fornire la sua identità sapendo che tutto verrà cancellato nel giro di poche ore, è partito tra l’altro il movimento anonymous. Stringhini e i suoi colleghi hanno scelto una particolare sezione, chiamata “politically incorrect” e hanno selezionato i messaggi con termini che esprimevano “xenofobia, razzismo e in generale odio”. In due mesi e mezzo, fra giugno e settembre 2016, ne hanno raccolti 8 milioni.

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“Soprattutto – spiega il ricercatore – ci interessava capire come i contenuti di 4chan si riverberassero sugli altri siti”. In particolar modo la corrente di odio e violenza prende la direzione di YouTube. Subito dopo vengono Wikipedia e Twitter. Più distanti Wikileaks e DonaldJtrump.com. Qui i messaggi violenti conservano l’anonimato, ma non il loro carattere effimero. Gli stessi membri della comunità alt-right spesso copiano quei link e li ripubblicano su 4chan, come in un cerchio.

“A volte i frequentatori di politically incorrect prendono di mira una figura contraria alle loro posizioni” spiega ancora Stringhini. “Inizia allora un bombardamento violentissimo su Youtube, che si chiama raid e arriva a costringere le vittime a cancellare il loro nome dal web”. Il grido di battaglia, su 4chan, è il messaggio “you know what to do”: sai cosa devi fare.

Scherzando, Stringhini racconta che lui e i colleghi dovevano alzarsi periodicamente dal computer e distrarsi guardando foto di gattini. “Non fa bene stare a lungo su siti come 4chan. Non dico che finivamo per convincerci di quel che leggevamo, ma di certo ne sentivamo l’influenza pur essendo solo osservatori esterni”. Il 12% dei messaggi di “politically incorrect” conteneva uno dei termini razzisti o violenti usati dai ricercatori come filtro, mentre su Twitter la percentuale non supera il 2%.

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Chi ci sia dietro ai messaggi virulenti di 4chan sarà oggetto dei prossimi studi. “A volte avevamo l’impressione che non fossero semplici individui, ma partiti o movimenti elettorali. Alcuni post arrivavano dall’estero. Abbiamo studiato soprattutto insulti e fake news di contenuto politico, ma crediamo che lo stesso meccanismo si metta in azione anche per argomenti diversi. Prima si individua un nemico, poi lo si attacca con un raid fino a quando non si riesce a cacciarlo dal web”.

Internet facile: cosa è Internet

Comincia da questo articolo una serie di lezioni che hanno lo scopo di spiegare in termini chiari e concisi i concetti base del web.

Troveremo risposte su temi basilari, dedicate a chi ha vuole “imparare” internet da zero oppure a chi ha ancora le idee un poco confuse.

Iniziamo da:

Cosa è Internet

Le reti “telematiche” esistono da più di vent’anni. Ma il fenomeno di cui si parla oggi, genericamente definito “internet”, nella forma in cui lo conosciamo è nato in Italia nel 1994; e nel resto del mondo non molto prima.

Internet è un insieme di decine di migliaia di reti di computer, collegati tra loro generalmente via cavo, ognuna completamente autonoma.

In pratica si questo insieme di reti si comporta come se fosse una rete unica; e di fatto è un unico sistema, continuo e intercomunicante.

Questo sistema è policentrico, non ha un “governo” centrale; non solo ogni rete, ma ogni operatore è libero e indipendente.

L’internet è un sistema che permette a diverse reti di collegarsi fra loro, in modo che chi è collegato a una delle reti può comunicare con chiunque sia collegato a una qualsiasi delle altre.

In pratica dà a chi si collega la percezione di muoversi in un singolo sistema globale; e il servizio che dà è proprio come se lo fosse.

Oggi, in pratica, l’internet è un sistema che permette di collegarsi con qualsiasi persona, organizzazione o “sito” che abbia un indirizzo su una delle tante reti connesse; e così facendo svolgere una delle tante attività diverse consentite non solo dalla tecnologia, ma soprattutto dai servizi che vengono messi a disposizione.

Non tutte le reti del mondo sono collegate all’internet (e tantomeno tutti i computer); ma chiunque voglia farlo si può collegare al sistema.

Siamo tutti, contemporaneamente, spettatori e protagonisti: il sistema ci permette di essere davvero, e totalmente, interattivi.

Il sistema funziona su scala planetaria; non ha sede geografica, né confini.

Si suddivide in comunità che non dipendono dal luogo fisico ma sono definite, per aree di interesse e di argomento e per la natura dello scambio, dalla libera scelta di tutti coloro che usano il sistema.

Leggi anche:  Internet Facile – Cos’è e a che serve l’Interfaccia Utente

 

 

L’Huffington post spiega la crisi di Twitter

Twitter prevede di tagliare il 9% della forza lavoro a livello mondiale per far fronte al rallentamento del fatturato dopo che sono falliti i progetti di vendita della società, mentre dal suo rapporto che riassume il terzo trimestre della società ha messo in evidenza una crescita piatta di utenti ma ricavi superiori alle stime degli analisti

L’Huffington post denuncia la crisi di Twitter.
Un tempo Facebook era il luogo dove mentire agli amici, mentre Twitter quello in cui raccontare la verità a perfetti sconosciuti. Oggi la gente ha meno cose da dire, dato che assistiamo ad un calo consistente nella voglia di pubblicare aggiornamenti sui due principali social network. Si preferiscono forme di comunicazione nascoste ma più rassicuranti: messaggistica istantanea, small social (comunicazione in piccoli gruppi), contenuti effimeri in stile Snapchat; queste sono solo alcune delle nuove abitudini online che hanno preso piede al posto della classica condivisione di status.

Se da un lato gli utenti sono meno attivi nel postare in pubblico (fino a -22% in un anno su Facebook secondo una ricerca del Global Web Index) dall’altro ci sono prove di un attaccamento quotidiano e intensivo che si esprime in azioni molto semplici.
Si cliccano più notizie, si interagisce con i mi piace (ora anche su Twitter) e con i commenti, si fanno tante ricerche e si guardano video in quantità industriale. Su Facebook si è passati in 6 mesi da 4 a 8 miliardi di visualizzazioni di video al giorno, e anche su Twitter il consumo di notizie è aumentato, con argomenti come sport, spettacolo e attualità in testa.

I social network sono forse diventati l’impero della noia? Sicuramente, ammazzare il tempo è diventata la loro funzione principale. E la cosa non dispiace ai loro progettisti e sviluppatori: più tempo speso e più contenuti multimediali fruiti significano monetizzazione migliore con la pubblicità. L’obiettivo è quello di catturare l’attenzione di milioni di sguardi il più a lungo possibile offrendo un’esperienza personalizzata (di recente Facebook ha celebrato il traguardo di 1 miliardo di accessi online nello stesso giorno). Poco male se il contenuto user generated decresce. Difatti, nel frattempo, editori professionisti e amatoriali hanno imparato a muoversi. Su Facebook nascono di continuo nuove pagine di intrattenimento e alcune di esse riescono a creare dei veri e propri brand con tanto di merchandising.

Twitter, invece, ha un enorme problema: se la popolarità non deriva dall’esterno, è molto difficile essere ascoltati. Solo in pochi sono riusciti, con grande impegno e dedizione, a costruire un seguito importante di follower. Twitter si limita a rendere visibile ciò che è già noto al pubblico per altre ragioni, mentre offre un feedback molto debole alla folta schiera di utenti occasionali che vogliono partecipare. Un utilizzo di questo tipo non offre soddisfazioni immediate, per cui si tende all’abbandono o a una fruizione passiva.

È complicato esprimersi in pochi caratteri ed è ancora più complicato trovare qualcuno che capisca al volo il messaggio. Non c’è gerarchia nelle informazioni e il contesto delle frasi è lasciato spesso alla libera interpretazione, attirando così le reazioni scomposte dei passanti. Quando il messaggio è diretto potenzialmente a tutti è facile che sorgano malintesi, lo sanno bene tutti quei personaggi pubblici che hanno chiuso il proprio account per le troppe aggressioni verbali. La colpa di questa crisi è soprattutto di Twitter che non ha saputo nel tempo trasformarsi per proteggere e stimolare la partecipazione delle community (astenersi directioners e beliebers). E così, le uniche occasioni di forte aggregazione riguardano i grandi eventi mediatici su scala nazionale o internazionali.

D’altra parte, quelli appena descritti come i limiti di Twitter sono anche i suoi punti di forza e la sua bellezza. Qualsiasi scambio avviene alla luce del sole, in modo diretto e immediato, e ci consente di andare subito alla fonte della notizia o di identificare chi ha espresso per primo un determinato concetto. “Tutto ciò che è detto, è detto da qualcuno” diceva un noto filosofo della scienza. Significa che osserviamo il mondo attraverso gli occhi e le parole degli altri ed è per questo che ognuno di noi deve assumersi la responsabilità di ciò che viene detto. Solo così potremo tenerci alla larga da manipolazioni e da tentativi di distorcere la realtà dei fatti. E in questo Twitter è un mezzo veramente fenomenale.

Quei furbini di Facebook ed il costo delle campagne pay per click

questo post è stato rivisto e limato il 21/11/2016

Vi racconto un aneddoto: pochi giorni fa ho impostato una campagna pay per click (significa pubblicità a pagamento, in questo caso paghi per click, cioè ogni volta che qualcuno clicca sulla tua inserzione o post promosso) in questo modo

ho scoperto che Facebook cambia anche notevolmente i prezzi delle inserzioni in base anche all’età dell’inserzionista. Quindi la prossima volta che dovete promuovere una vostra inserzione su Facebook usate l’account di vostra nonna.

In dettaglio si trattava di promuovere appunto un post specifico cliccando il quale  si veniva indirizzati ad una pagina specifica di un sito, una strategia di base che affronterò in un post prossimo.

Quando io e la mia collega siamo arrivati appunto a richiedere il costo della operazione ci siamo visti chiedere €70 a settimana, una cifra non alta nel caso specifico ma comunque da considerare, il target di default era misurato appunto sull‘età della collega, 24 anni. Non vi dico la sorpresa pochi minuti dopo quando ho ripetuto l’operazione usando il mio account. Infatti il target di default aveva un‘età commisurata alla mia, 62 anni ed il costo era diventato€ 27.

Significa, secondo me, che quei furbini di facebook ritengono molto più motivato all’acquisto un ragazzo piuttosto che una persona come me,  non più giovanissima, ma, per favore vogliamo fare analisi magari un poco meno superficiali sugli utenti di internet oggi? Potrebbe essere una sorpresa anche per i maghi del webmarketing di FB, scoprire che l’età del loro utente medio si va sempre più alzando.

Social privacy: come tutelarsi nell’era dei social network, lo dice il Garante

Vi presento una guida informativa molto ben fatta, prodotta dal Garante per la protezione dei dati personai, molto ben fache tratta i rischi che si possono correre utilizzando i social network. E’ una pubblicazine  abbastanza recente, del 2014. Certamente la userò come materiale didattico visto che è certamente utile ai più giovani. Intanto la propongo a voi su queste pagine come “ripasso” delle regole di prudenza in navigazione  proposto dalla massima autorità italiana in merito.

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I social network offrono vantaggi significativi e immediati:
semplificano i contatti, rendono possibili scambi di informazioni con un numero enorme di persone. Queste comunità online, però, amplificano i rischi legati a un utilizzo improprio o fraudolento dei dati personali degli utenti, esponendoli a danni alla reputazione, a furti di identità, a veri e propri abusi.

alcuni estratti:

VITA DIGITALE – VITA REALE
Non esiste più una separazione tra la vita “on-line” e quella “off-line”. Quello che scrivi e le immagini che pubblichi sui social network hanno quasi sempre un riflesso diretto sulla tua vita di tutti i giorni, e nei rapporti con amici, familiari, compagni di classe, colleghi di lavoro. Ed è bene ricordare che l’effetto può non essere necessariamente immediato, ma ritardato nel tempo.
CHI PUÒ FARE COSA
Rifletti bene prima di inserire on-line dati che non vuoi vengano diffusi o che possano essere usati a tuo danno. Segnala al Garante della privacy e alle altre autorità competenti le eventuali violazioni affinché possano intervenire a tua tutela.
a ricorda: il miglior difensore della tua privacy sei innanzitutto tu.

puoi scaricare la guida in formato pdf cliccando qui:

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Rintracciare gli amministratori delle pagine Facebook

Sappiate che se un cliente vi chiede di gestire la pagina FB dell’azienda e poi scoprite che l’unico amministratore in carica  di una pagina realizzata nel 2003 risulta essere l’autore sconosciuto, di una pagina  gestita da casa nel tempo libero e da allora mai più aggiornata,  allora avete un problema.

Più volte mi è stato chiesto come sia possibile vedere chi sono gli amministratori di pagine Facebook. Spesso infatti capita che qualcuno voglia contattare chi amministra un determinato gruppo o una pagina di Facebook e si trova in difficoltà nell’identificare chi li gestisce. Oggi vediamo se, e come sia possibile scoprire gli amministratori di pagine e gruppi di Facebook.

Vi dico subito che è impossibile vedere gli amministratori di una pagina Facebook. I motivi per il quale non è possibile vedere chi amministra una pagina Facebook probabilmente è dovuto a motivi legati alla privacy:

  1. Le pagine sono concepite per avere migliaia di Fan e per rappresentare pubblicamente aziende, personaggi famosi, e in generale qualsiasi cosa possa avere un ampio numero di fan. Questo significa che spesso chi gestisce la pagina è una persona che lo fa su incarico e non avrebbe senso mostrare il suo account personale.
  2. E’ comunque possibile inviare un messaggio privato a chi gestisce la pagina anche senza conoscere la sua identità. Basta entrare nella pagina in questione e cliccare sul pulsante Messaggio, il tutto funzionerà come un messaggio privato inviato ad un vostro amico, solo che è rivolto alla pagina e verrà letto da chi la amministra. Se ancora si ricorda di verificare i messaggi sulla pagina, se si ricorda della pagina FB realizzata anni prima, se vuole avere ancora a che fare con la vecchia azienda, ecc.

Quindi auguri, il nome dell’amministratore di una pagina Facebook è gestito meglio degli indirizzi mail governativi USA. Magari Assange con al sua Wikileaks ci potrebbe fare un pensiero

 

Il brutto inizio di Marketplace di Facebook

Marketplace è la nuova opzione di Facebook per comprare e vendere cose: a causa di un problema tecnico per alcune ore sono state in vendita armi, droghe, animali, bambini e prestazioni sessuali.

preso dal post un blog di news che seguo volentieri

Il 3 ottobre Facebook ha lanciato in alcuni paesi – non ancora in Italia – Marketplace, una piattaforma interna all’app di Facebook per smartphone che permette di vendere e comprare oggetti. Marketplace ha ovviamente delle regole – simili a quelle che già ci sono per i gruppi in cui la gente si scambia oggetti di vario tipo – che vietano di vendere e comprare droga, armi, animali, articoli per adulti e, in generale, cose illegali. Nelle prime ore in cui Marketplace è stato disponibile c’è stato però un non meglio spiegato problema tecnico che ha impedito a Facebook di bloccare la vendita di cose illegali, contrarie alla legge o anche solo alle regole di Facebook.
Il New York Times ha scritto che per un po’ di tempo c’è quindi stato chi ha venduto e comprato, tra le altre cose, «droghe, cani, armi, prestazioni sessuali, e cuccioli di riccio». Non tutti quelli che hanno provato a vendere cose illecite ci sono riusciti: il problema tecnico ha riguardato solo alcuni dei post, anche se Facebook non ha fornito numeri o percentuali. Ora il problema è stato risolto, Facebook ha chiesto scusa e tutto è tornato normale. Restano però gli screenshot di alcuni utenti che si sono trovati davanti le cose messe su Marketplace in quelle ore.
Mary Ku, capo del Project Management di Facebook, ha spiegato che Marketplace è nato perché oltre 450 milioni di persone visitano ogni mese i gruppi di compravendita di Facebook, e Facebook voleva rendere più semplice e efficaci gli scambi. Con l’introduzione di Marketplace l’obiettivo di Facebook è fornire agli iscritti un luogo dedicato dove poter svolgere questi scambi. Per ora la nuova funzione è prevista solo sulla versione di Facebook per smartphone e c’è negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Australia e in Nuova Zelanda.

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Per trovare prodotti specifici su Marketplace c’è un motore di ricerca interno, e c’è la possibilità di filtrare i risultati per categorie, prezzi e distanza geografica dei venditori. Se invece si vuole mettere in vendita qualcosa basta caricare una foto del prodotto, aggiungere una descrizione, il prezzo e la propria posizione, e pubblicare l’annuncio. Marketplace serve solo a mettere in contatto diretto venditori e acquirenti, che poi si accorderanno tra loro in privato per quanto riguarda il pagamento e la consegna dei beni. Per tentare di evitare truffe, agli acquirenti interessati sarà possibile vedere alcune informazioni più dettagliate sui venditori, come il luogo in cui vivono e da quanto tempo sono iscritti al social network.