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Chi vende droga sulla darknet

tratto,tradotto e adattato da Platform Criminalism
The ‘Last-Mile’ Geography of the Darknet Market Supply Chain

I mercati darknet stanno lentamente riorganizzando il commercio globale di droga?

In uno studio pratico su larga scala, abbiamo determinato la geografia del trading su darknet di tre farmaci a base di piante nei maggiori mercati, e la confrontiamo con il panorama globale della produzione e del consumo di questi farmaci.

Questo è il primo studio per analizzare la geografia economica dei mercati darknet in modo così completo anche se sommario e le nostre scoperte ci permettono di trarre nuove conclusioni sulla natura della catena di approvvigionamento che ne sta alle spalle.

Non siamo in grado di trovare prove per importanti offerte sul versante della produzione in nessuno dei tipi di droga o dei mercati.

Al contrario, presentiamo una forte evidenza che i venditori di cannabis e cocaina si trovano principalmente in un piccolo numero di paesi consumatori altamente attivi, suggerendo che i mercati darknet occupano principalmente il ruolo dei rivenditori locali che servono l’ultimo miglio per alcune regioni.

Questo probabilmente lascia intatte le vecchie relazioni con i produttori e le rotte di traffico. Su questa traccia un modello per spiegare i volumi di scambio di oppiacei è inconcludente.

Le nostre scoperte suggeriscono inoltre che la geografia delle transazioni sul mercato darknet è principalmente guidata dalla domanda dei consumatori esistenti, piuttosto che dalla nuova domanda promossa dai singoli mercati.

Speriamo che questo contributo teorico ci aiuti a definire la geografia dei mercati darknet della droga con nuove specificità.

Il nostro studio fornisce nuove prove che aiutano a situare queste piattaforme all’interno delle reti di produzione globali del commercio di droghe illecite

il rapporto Freedom on the Net 2017

Freedom House è una organizzazione non governativa internazionale, con sede a Washington, D.C., che conduce attività di ricerca e sensibilizzazione su democrazia, libertà politiche, e diritti umani. Freedom House pubblica un rapporto annuale dal titolo Freedom in the net (Libertà di internet) che misura il grado di libertà civili e diritti politici garantiti durante la navigazione online.
Già il titolo del rapporto per il 2017 non è incoraggiante:

Manipolare i social media per indebolire la democrazia

Risultati chiave

  • Le tattiche di manipolazione e disinformazione online hanno svolto un ruolo importante nelle elezioni in almeno 18 paesi nell’ultimo anno, compresi gli Stati Uniti.
  • Le tattiche di disinformazione hanno contribuito al settimo anno consecutivo di calo generale della libertà di internet, così come l’aumento delle interruzioni nel servizio Internet mobile e l’aumento degli attacchi fisici e tecnici a difensori dei diritti umani e media indipendenti.
  • Un numero record di governi ha limitato il servizio Internet mobile per ragioni politiche o di sicurezza, spesso in aree popolate da minoranze etniche o religiose.
  • Per il terzo anno consecutivo, la Cina è stata la peggiore persona che ha abusato della libertà di Internet, seguita dalla Siria e dall’Etiopia.

I governi di tutto il mondo hanno aumentato drasticamente i loro sforzi per manipolare le informazioni sui social media nell’ultimo anno.

I regimi cinese e russo hanno aperto la strada all’uso di metodi surrettizi per distorcere le discussioni online e sopprimere il dissenso più di un decennio fa, ma da allora la pratica è diventata globale.

Tali interventi guidati dallo stato rappresentano una grave minaccia alla nozione di internet come tecnologia liberatrice. La manipolazione dei contenuti online ha contribuito al settimo anno consecutivo di declino generale della libertà di internet, insieme a un aumento delle interruzioni nel servizio Internet mobile e all’aumento degli attacchi fisici e tecnici ai difensori dei diritti umani e ai media indipendenti.

Quasi la metà dei 65 Paesi valutati su Freedom on the Net ha registrato un calo nel corso del periodo di copertura, mentre solo 13 hanno ottenuto guadagni, la maggior parte dei quali minori. Meno di un quarto degli utenti risiede in paesi in cui Internet è designato gratuitamente, il che significa che non vi sono ostacoli importanti all’accesso, restrizioni onerose sui contenuti o gravi violazioni dei diritti degli utenti sotto forma di sorveglianza incontrollata o ripercussioni ingiuste per discorsi legittimi.

L’uso di “notizie false”, account “bot” automatizzati e altri metodi di manipolazione ha guadagnato particolare attenzione negli Stati Uniti. Mentre l’ambiente online del paese è rimasto generalmente libero, è stato turbato da una proliferazione di articoli di giornale fabbricati, vetri parziani divisivi e molestie aggressive di molti giornalisti, sia durante che dopo la campagna elettorale presidenziale.

Gli sforzi online della Russia per influenzare le elezioni americane sono stati ben documentati, ma gli Stati Uniti non erano affatto soli in questo senso. Le tattiche di manipolazione e disinformazione hanno svolto un ruolo importante nelle elezioni in almeno 17 altri paesi nel corso dell’ultimo anno, danneggiando la capacità dei cittadini di scegliere i loro leader sulla base di notizie concrete e di dibattiti autentici.

Sebbene alcuni governi abbiano cercato di sostenere i loro interessi ed espandere la loro influenza all’estero – come con le campagne di disinformazione della Russia negli Stati Uniti e in Europa – nella maggior parte dei casi hanno usato questi metodi all’interno dei loro confini per mantenere la loro presa sul potere.

Venezuela, Filippine e Turchia sono stati tra i 30 paesi in cui si è scoperto che i governi impiegano eserciti di “opinion shapers” per diffondere opinioni del governo, guidare programmi particolari e contrastare i critici del governo sui social media.

Il numero di governi che tentano di controllare le discussioni online in questo modo è aumentato ogni anno da quando Freedom House ha iniziato a seguire sistematicamente il fenomeno nel 2009. Ma negli ultimi anni, la pratica è diventata significativamente più diffusa e tecnicamente sofisticata, con i produttori di propaganda e bot e prese di notizie false che sfruttano i social media e gli algoritmi di ricerca per garantire un’elevata visibilità e un’integrazione perfetta con i contenuti di fiducia.

A differenza di altri metodi diretti di censura, come il blocco dei siti Web o gli arresti per attività su Internet, la manipolazione dei contenuti online è difficile da rilevare. È anche più difficile da combattere, data la sua natura dispersa e l’enorme numero di persone e bot impiegati per questo scopo. Gli effetti di queste tecniche di diffusione rapida sulla democrazia e l’attivismo civico sono potenzialmente devastanti.

La creazione di un sostegno popolare per le politiche governative sui social media crea un circolo vizioso in cui il regime si impegna essenzialmente, lasciando all’esterno gruppi indipendenti e cittadini ordinari.

E rafforzando la falsa percezione che la maggior parte dei cittadini ha con loro, le autorità sono in grado di giustificare le repressioni sull’opposizione politica e far avanzare le modifiche antidemocratiche a leggi e istituzioni senza un adeguato dibattito.

È preoccupante che la manipolazione sponsorizzata dallo stato sui social media sia spesso accompagnata da più ampie restrizioni sui mezzi di informazione che impediscono l’accesso al reporting oggettivo e rendono le società più suscettibili alla disinformazione.

Affrontando con successo la manipolazione dei contenuti e ripristinando la fiducia nei social media, senza compromettere la libertà di internet e dei media, occorreranno tempo, risorse e creatività.

I primi passi in questo sforzo dovrebbero includere l’educazione pubblica finalizzata a insegnare ai cittadini come rilevare notizie e commenti falsi o fuorvianti.

noltre, le società democratiche devono rafforzare i regolamenti per garantire che la pubblicità politica sia trasparente almeno online e offline.

E le aziende tecnologiche dovrebbero fare la loro parte riesaminando gli algoritmi alla base della curatela delle notizie e disabilitando in modo proattivo i bot e gli account falsi utilizzati per fini antidemocratici.

In assenza di una campagna globale per affrontare questa minaccia, le tecniche di manipolazione e disinformazione potrebbero consentire ai moderni regimi autoritari di espandere il loro potere e influenza mentre erodono in modo permanente la fiducia degli utenti nei media online e nell’intero Internet.

 

Il rapporto continua qui con molte altre interessanti analisi, in inglese, farebbe comodo la traduzione? Se sì ditemelo12.

Internet Facile – Cos’è veramente la Darknet?

Non è solamente un posto molto mal frequentato: pedofili, spacciatori di droga e armi per non parlare dell’idea dominante del web oscuro utile solo a pedofili, mercanti di droga e armi è parziale: sono sempre di più le persone che usano le reti anonime per navigare senza altri scopi se non la riservatezza

Allora vogliamo cancellare questa darknet una volta per tutte? Ma è possibile oppure non lo è o comunque sarebbe un modo per peggiorare ancora la situazione?

Non facciamo confusione anzitutto: per darknet si intende la rete anonimizzata. Il deep web, invece, molto più grande, è la rete non indicizzata. Cioè qualsiasi parte del web non rilevabile da motori di ricerca e pertanto invisibile ad un navuigatore che non consca con precizione l’indirizzzo url delle pagine che cerca.

Esistono moltepagine perfettamente lecite nel deep web, per esempio i servizi di banking online e le pagine di web mail che fanno capo ai diversi provider.

Basta un semplice paragone tra i dati per capire come Internet oggi sia chiuso su se stesso e con differenze sostanziali al suo interno: il web conosciuto è 500 volte più piccolo del deep web.

D’altra parte il deep web è frequentato, tramite il browser Tor, da due milioni di utenti, e fra questi, chi usa la navigazione anonima per visitare i siti della darknet è solo il 5%.

Quindi darknet è il 5% del totale dei naviganti anonimi del deep web che è 500 volte più grande della rete ricercabile ma anche molto meno abitata.

Il deepweb o darkweb è quindi il contenuto, da non confondere con il darknet che è la rete, può essere raggiunto solamente tramite TOR che oggi è lo strumento di maggior successo per ottenere quel livello di segretezza e neutralità rispetto alle tecniche di tracciamento amata e indispensabile dagli informatori, gli attivisti, i dissidenti politici, ma anche dai malintenzionati e gli affaristi senza scrupoli.
Infatti TOR gestisce il traffico di dati su una una rete di relè sicuri gestiti da volontari che anonimizzano le identità dei naviganti, grazie a quel browser puoi viaggiare in tunnel sicuri per giornalisti, attivisti e whistleblower che vogliono parlare liberamente senza che le loro conversaszioni vengano schedate, ma anche semplicemente senza essere assediati da offerte commerciali basate sugli ultimi siti visitati.

Purtroppo gli stessi canali per le stessse ragioni vengono utilizzati anche da fuorilegge e criminali.
Questo e altri temi simili saranno sempre più rilevanti, infatti avranno sempre più a che fare con la sfera privata di ognuno di noi nel prossimo futuro.

Leggi anche: Internet facile: cosa è un browser

Il Vaticano contro la tratta umana sul “Deep web”

Presentati i risultati del workshop della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali: suggellato un “patto con le vittime”, dal Canada un database per le transazioni

Tratto da: La Stampa

Prostituzione, lavoro forzato, traffico di organi.

Tre crimini a danno dell’uomo che si configurano in un’unica dicitura: tratta umana. Contro questa piaga del mondo moderno, che assume connotati drammatici e che va sempre più espandendosi nei Paesi in via di sviluppo tanto quanto in quelli industrializzati a causa delle «nuove forme di reclutamento digitale», si schiera ancora una volta il Vaticano.

Lo fa attraverso un workshop promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali – dal titolo “Assisting Victims in Human Trafficking – Best Practice in Resettlement, Legal Aid and Compensation” – che ha concluso oggi i lavori, incoraggiati dallo stesso Papa Francesco che in più di un’occasione ha stigmatizzato l’aberrazione di tali pratiche che registrano giri d’affari da miliardi di dollari all’anno.

«Questo tema è nel cuore del Papa», ha assicurato il cancelliere della Pontificia Accademia di Scienze Sociali, l’arcivescovo argentino Marcelo Sánchez Sorondo, presentando in mattinata l’iniziativa nella Sala Stampa vaticana.

A fianco a lui, sul banco dei relatori, Margaret Archer, presidente dell’Accademia delle Scienze Sociali e l’avvocato Jami Solli, co-organizzatrice del Workshop e fondatrice della Global Alliance for Legal Aid. In rappresentanza delle migliaia, anzi milioni di vittime del traffico umano anche l’indiana Rani Hong, oggi presidente della “Tronie Foundation”, ieri una delle tante bambine strappate dalle braccia della madre e resa schiava all’estero.

Da lei la domanda cruciale che ha animato le diverse riunioni: «Come integrare le vittime?». I problemi non si concludono infatti con la liberazione degli “schiavi” ma proseguono anche e soprattutto dopo con le conseguenze fisiche e psicologiche che rischiano di compromettere per sempre la costruzione di un futuro. «Io ho dovuto imparare ad essere di nuovo un essere umano», ha ricordato infatti la donna.

«Ero una bambina di 7 anni e mezzo, sono stata rapita in India e portata in un altro Stato. Non conoscevo nessuno, tantomeno la lingua. Ero sola e impaurita». Oggi «ho un nome, una faccia, una storia, non sono un numero: bisogna ascoltare le storie concrete, e dobbiamo sperare che si possa cambiare, sì, io dico che è possibile cambiare», ha affermato.

Da parte sua Sorondo ha sottolineato come il meeting in Vaticano, oltre a voler prendere le misure dell’estensione del fenomeno denunciato come «crimine contro l’umanità» sia da Benedetto XVI che da Francesco, ha voluto studiare «le best practices e i migliori modelli per riabilitare le vittime».

Si è dato ampio spazio, quindi, alle «splendide testimonianze» di volontari e professionisti impegnati con le vittime, la maggior parte delle quali ragazze minorenni. Rocìo Rosco, per esempio, ha illustrato le strategie adottate in Messico per aiutare persone ferite a superare lo stigma e reinserirsi nel tessuto sociale e lavorativo.

Leggi anche:Papa Francesco: “Nella Dark Net, Il Male Trova Modi Sempre Nuovi E Più Efficaci Per Agire Ed Espandersi”

«Il risultato del traffico di esseri umani è infatti la morte sociale della persona; la collaborazione ha mostrato che ci serve non solo la tecnologia ma lo spirito di cooperazione», ha sottolineato Jami Solli.

E Sorondo ha spiegato: «Con l’aiuto dei diversi Stati messicani sono stati offerti alle vittime formazione, studi, titoli, appartamenti, possibilità di ricominciare una vita normale». Un lavoro, questo, svolto da decenni già da innumerevoli congregazioni di suore.

Tuttavia «questo modello, pur offrendo un grande aiuto dal punto di vista spirituale, psicologico, umano, medico, ha un limite», ha osservato il cancelliere, «le suore non sono inserite “nel mondo” (per fortuna!) quindi non sono capaci di dare lo stesso contributo che possono dare dei laici».

Al centro dei lavori anche un’analisi del vasto mondo del web, soprattutto il “Deep web”, quella parte di internet “sommersa” – cioè non indicizzata dai comuni motori di ricerca – dove vengono svolte attività illegali: dalla vendita di documenti falsi e di armi alla diffusione di materiale pedopornografico, fino al commercio di organi o di bambini comprati o affittati per scopi sessuali che includono violenze e torture.

«Vogliamo avviare con le diverse Accademie uno studio approfondito delle minacce che derivano dai mezzi moderni, soprattutto internet che è una delle “strade” principali dove oggi si adescano i bambini: per la prostituzione, per il traffico di organi, per il lavoro forzato», ha assicurato monsignor Sorondo. «Il “Deep web” è incontrollabile e vogliamo capire chi lo gestisce e come contrastarlo».

«Questa volta vogliamo sì ascoltare le vittime, dare aiuto a chi ha subito persecuzione, come ci ha chiesto di fare il Papa sin dall’inizio del pontificato», ha chiosato Margaret Archer, «ma guardiamo anche agli aspetti criminali, in particolare il controllo dei conti bancari, e a livello statale, delle legislazioni e dei movimenti sociali: i progetti per la reintegrazione delle vittime della tratta riguardano circa 20 Paesi».

Uno di questi è il Canada dal quale proviene una importante iniziativa presa in esame durante il workshop: il controllo di transazioni sospette che si nascondono dietro al traffico di esseri umani da individuare grazie ad un continuo monitoraggio da parte di banche e istituzioni finanziarie e la creazione di specifici database. Il progetto suggellato, insieme ad altri elaborati durante la tre giorni vaticana, con la stesura di un “Patto con le vittime”.

Dark Web: viaggiare nel web profondo

articolo tratto da TGCOM24

Nella “Rete oscura” chiunque può navigare senza essere identificato. Si può comprare di tutto: droghe, armi e immagini pedopornografiche

Come ogni oceano, anche il Web ha i suoi abissi. E più si scende, più l’oscurità aumenta. Secondo uno studio di Michael Bergman – pubblicato nel 2001 sul Journal of Electronic Publishing – i motori di ricerca indicizzano solo lo 0,03% dei documenti esistenti. Tutto il resto è Deep Web, la faccia nascosta della Rete.

Nelle profondità di Internet, dove nemmeno Google e i colossi della Silicon Valley possono arrivare, cancellare le tracce è facile. Il browser di navigazione anonima più utilizzato, The Onion Router, è stato ideato dalla Marina Militare statunitense negli Anni Novanta.

Installarlo è semplice, gratuito e legale. Basta cliccare su torproject.com, un sito disponibile nel Web tradizionale, e seguire la procedura guidata. È come imboccare un tunnel: una volta dentro, nessuno può vedere chi siamo e cosa stiamo facendo. Associazioni come Anonymus e Wikileaks si muovono qui, nel più grande spazio di libera espressione del Pianeta, per diffondere documenti riservati e libri proibiti.

Ma l’anonimato non protegge solo attivisti, dissidenti e intellettuali. In questa parte oscura – il cosiddetto Dark Web – si compra e sivende di tutto: passaporti falsi, armi, virus per attaccare altre piattaforme.
Cosa succede a chi si addentra nel Web nascosto? Il primo problema, naturalmente, è orientarsi. La “torcia” degli internauti, il motore di ricerca Torch, funziona esattamente come Google.

Digitando la parola chiave appaiono decine e decine di siti, tutti identificati con sequenze alfanumeriche impossibili da indovinare. Per chi invece è alle prime armi, o vuole solo farsi un’idea, The Hidden Wiki è una tappa obbligata. La pagina offre una panoramica dei domini onion, articoli simili a quelli di Wikipedia e link specifici per ogni esigenza.

Non può mancare l’informazione. Deep Dot, un portale di all news presente anche nel Web di superficie, è uno degli indirizzi più cliccati. Blogger arrestati, negozi illegali chiusi, siti censurati: i redattori in incognito denunciano i contrattacchi del potere, ma anche la violenza che si cela nelle pieghe delle reti clandestine.

Una sorta di autoregolamentazione etica che dovrebbe, almeno nelle intenzioni, limitare la diffusione dei contenuti più pericolosi. “Abbiamo fondato Deep Dot – si legge sulla homepage – subito dopo l’arresto di un amico. L’obiettivo è rendere accessibili le informazioni sui mercati della Dark Net, segnalando rischi per la sicurezza, truffe o operazioni di polizia. Il successo del sito è la miglior vendetta che potessimo avere su chi ha incastrato il nostro compagno. Inoltre, è perfettamente legale”.

Per Deep Dot difendere il libero commercio – anche di sostanze stupefacenti – è una vera e propria missione. “Non prendiamo soldi per aggiungere, modificare o cancellare lo status dei negozi presenti nell’elenco –precisano – qualche annuncio pubblicitario ci aiuta a pagare le spese, ma il tempo e l’impegno che mettiamo nel sito ci costano molto di più”. I blogger, insomma, si considerano veri cronisti. E rispondono volentieri alle domande dei colleghi.
“Il mercato si regola da solo – dice un anonimo – i principali mezzi di autoregolamentazione sono i forum e le recensioni postate sui profili dei venditori. Deep Dot è, fondamentalmente, un sito di informazione. Il nostro obiettivo è ridurre i danni del consumo di droga e tenere alla larga i truffatori.

Per quanto riguarda le armi, la maggior parte dei portali non ne prevede lavendita. Quando accade, nel 90% dei casi c’è sotto una truffa o un poliziotto sotto copertura. Non pubblichiamo mai gli indirizzi dei negozi specializzati in armi – legali e illegali – truffe o materiale erotico”.

Nonostante qualche tentativo di censura, le immagini pedopornografiche sono facilmente reperibili. E a sentire i redattori di Deep Dot, contrastare il fenomeno è quasi impossibile. “Sostengo con forza la lotta alla pornografia minorile –precisa la fonte – ma non ho strumenti per combatterla direttamente.

Mi limito a informare gli utenti su ciò che accade, segnalando gli arresti (numerosi) delle persone accusate di questo reato. Una volta abbiamo parlato con il gestore di un portale pedopornografico, ma abbiamo deciso di non pubblicare l’intervista e di girarla alla Bbc”.

Tutto vero? Dal punto di vista giornalistico, sembra proprio di sì. L’articolo è stato pubblicato sul sito della tv britannica il 19 giugno 2014. E i virgolettati riportati da Angus Crawford, l’autore del pezzo, aprono scenari inquietanti.”Indubbiamente i pedofili che usano la Dark Net sono sempre più numerosi – dicel’intervistato – non so se questi nuovi utenti siano neofiti della pornografiaminorile o se, invece, si tratti di persone che prima compravano sul Clear Web e poi si sono spostati su Tor”.

Una testimonianza sconcertante, che dimostra come la navigazione anonima tuteli chi scende – oltre che negli abissi di Internet – anche in quelli della mente umana. “Non voglio spiegare nei dettagli quali misure di protezione utilizzo – continua l’internauta – basti dire che è un sistema a più livelli, progettato per proteggermi da chiunque. Anche dall’hacker più bravo del mondo”.

Articolo pubblicato su MasterX, periodico del master di giornalismo dell’Università Iulm di Milano