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Facebook ha iniziato a segnalare le notizie false

Un segnale di pericolo viene aggiunto alle anteprime verso articoli contenenti le bufale, ma il sistema è ancora lento e imperfetto.

Come annunciato alla fine dello scorso anno, Facebook ha iniziato a segnalare le notizie false – o per lo meno sospette – sul suo social network. La funzione è disponibile per ora negli Stati Uniti, ma in alcuni casi è visibile anche nella versione italiana di Facebook, se il contenuto condiviso è stato identificato e segnalato in quella statunitense.

Per ora il sistema è piuttosto limitato e in fase sperimentale, ma dovrebbe essere esteso nel corso delle prossime settimane. È la prima risposta concreta da parte di Facebook all’ampio dibattito sulle notizie false, che circolano spesso sul social network conquistando molta visibilità, e che secondo alcuni osservatori avrebbero condizionato la campagna elettorale per le presidenziali statunitensi, vinte da Donald Trump.

Un articolo del Seattle Tribune – sito di notizie noto per pubblicare bufale – è stato segnalato come “contestato” (“disputed”) su Facebook a partire da venerdì scorso. Quando viene condiviso il link nella propria sezione Notizie (“News feed”), compare al fondo dell’anteprima un’icona con un segnale di pericolo per avvisare i lettori. L’articolo del Seattle Tribune s’intitola “Si pensa che le recenti fughe di notizie dalla Casa Bianca arrivino direttamente dallo smartphone Android di Trump” e contiene informazioni chiaramente inventate e che non possono essere provate.
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Facebook non si occupa direttamente di decidere se un link condiviso sul suo social network rimandi o meno a una notizia falsa, perché non vuole essere responsabile della censura di contenuti, anche se questa è una posizione ambigua che ha attirato diverse critiche. La verifica dei fatti viene quindi eseguita da altre organizzazioni, che hanno sottoscritto una sorta di carta d’intenti condividendo sistemi e soluzioni.

Nel caso della falsa notizia diffusa dal Seattle Tribune, sono stati i siti Snopes e Politifact a controllare l’articolo e a confermare a Facebook la presenza di false informazioni. Oltre all’icona con il segnale di pericolo, sotto l’anteprima sono anche segnalati i siti che hanno fatto la verifica dei fatti, con link verso i loro articoli che smontano la bufala.
Il sistema sembra essere una buona via di mezzo per non rimuovere i contenuti diffusi dagli utenti, evitando quindi censure, e al tempo stesso per mettere in guardia gli altri lettori. Il problema, come hanno segnalato in molti, è che il processo per etichettare come “discussa” una notizia richiede diverso tempo, lasciando quindi a lungo una notizia falsa sul social network senza un’adeguata segnalazione.
Il sistema prevede diversi passaggi: prima la notizia falsa deve essere segnalata da un numero sufficiente di utenti attraverso la funzione “Segnala post” e usando la voce “Si tratta di una notizia falsa”, oppure devono essere gli algoritmi di Facebook ad accorgersene automaticamente; la notizia sospetta viene quindi inviata alle organizzazioni che hanno aderito al servizio gratuito per la verifica dei fatti; infine, almeno due distinte organizzazioni devono smontare la notizia e indicarla come una bufala prima che sia aggiunta l’etichetta.
Questo processo è molto lungo: l’articolo del Seattle Tribune, per esempio, è stato pubblicato il 26 febbraio scorso, ma Snopes l’ha verificato solo il 2 marzo mentre Politifact ci è arrivato il 3 marzo. Per giorni, l’articolo contenente le false informazioni è quindi circolato normalmente su Facebook, con pari dignità rispetto ad articoli da fonti di informazione affidabili e più conosciute.

Il caso del Seattle Tribune è ulteriormente particolare perché è noto ormai da tempo per pubblicare notizie false, molto creative e di ogni tipo. Lo stesso sito, in una pagina tenuta poco in evidenza, si dichiara una “pubblicazione satirica di notizie e di intrattenimento”. Chi legge le anteprime degli articoli su Facebook o ci finisce sopra non può saperlo, considerato che l’indicazione non è presente in tutte le pagine e che il Seattle Tribune utilizza come motto “Informiamo la Nazione”.

Il sistema di definirsi un sito “satirico” o “umoristico” viene usato da buona parte dei siti che diffondono notizie false, nella speranza di evitarsi problemi legali. Come segnala Snopes, il Seattle Tribune fa parte di una rete piuttosto ampia di siti di false notizie, gestiti da una società che si chiama Associated Media Coverage. Organizzazioni di questo tipo creano network di siti e account sui social network per linkare i loro contenuti a vicenda, ottenendo più visibilità, importante per avere visite e clic che si traducono in ricavi grazie alla pubblicità mostrata sulle loro pagine.
Facebook ha annunciato iniziative simili a quella avviata negli Stati Uniti anche in alcuni stati europei, come Francia e Germania, dove quest’anno si terranno le elezioni politiche.

Il sistema sarà sperimentato e progressivamente esteso in altri paesi, ma sempre mantenendo Facebook in una posizione defilata nella verifica dei fatti, che sarà lasciata a terzi. Mark Zuckerberg, il CEO della società, ha sempre sostenuto che Facebook è “una piattaforma” e non una “media company” con responsabilità nella selezione dei contenuti. Questa posizione è comunque diventata sempre più sfumata nei fatti e lo stesso Zuckerberg ha cambiato parzialmente opinione, dopo un primo periodo in cui aveva respinto tutte le accuse sul ruolo di Facebook nel contribuire a fare circolare bufale e notizie false credute vere da milioni di suoi utenti.

Le bufale sono un business

E anche un problema per la democrazia, scrive Francesco Costa su IL: leggerle e diffonderle fa guadagnare soldi a chi le scrive, e ormai parecchi lo fanno per mestiere.
Francesco Costa ha raccolto sull’ultimo numero di IL alcune notizie false uscite negli ultimi mesi sui giornali italiani, spiegando in che modo riescano ad alterare e indebolire la percezione delle cose che accadono attorno a noi.

Costa ha spiegato in particolare il circolo vizioso per cui più sono «assurde, morbose o in grado di suscitare reazioni emotive» e più risultano attraenti per i giornali tradizionali: che da alcuni anni si trovano «con l’acqua alla gola per tentare di tenere il passo» di siti che diffondono notizie false unicamente per fare soldi, a loro volta alimentati da una richiesta sempre più crescente di informazione non tradizionale, causata proprio dalla scarsa credibilità dei giornali. Costa ha anche contattato il gestore di Catena Umana, il sito che ha diffuso la bufala che le due cooperanti italiane rapite in Siria avessero avuto rapporti sessuali coi propri rapitori, il quale ha parlato dei notevoli ricavi pubblicitari del proprio sito in relazione a quell’articolo.
Se avete letto i giornali negli ultimi mesi, sapete probabilmente che a febbraio l’Egitto ha invaso la Libia, che il governo Renzi vuole depenalizzare il maltrattamento degli animali e che la corruzione costa all’Italia ben sessanta miliardi di euro ogni anno. Peccato che niente di tutto questo sia vero.
Così come non è vero che i tifosi del Feyenoord abbiano stampato delle magliette con scritto “Vi accoltelliamo” rivolto ai romanisti, che nel video di un’ecografia pubblicato online si veda un feto battere le mani a tempo di musica, che secondo un’equazione matematica il 19 gennaio sia il giorno più triste dell’anno e che François Hollande abbia operato in Francia un gigantesco taglio ai costi della politica.

Gli errori capitano a tutti, ma la diffusione di notizie imprecise o apertamente false sui media ormai è un fenomeno quotidiano: la più grande patologia del nostro tempo tra quelle di cui i giornali non parlano mai. Le ragioni di questo fenomeno si possono intuire con facilità, e sono discusse quotidianamente anche tra gli addetti ai lavori a mensa o durante i vari festival del giornalismo: la verifica delle fonti superficiale se non inesistente, la ricerca di visibilità e lettori sparandola grossa, l’interesse smodato del pubblico per notizie assurde, morbose o in grado di suscitare reazioni emotive, la necessità di fare i conti con sempre maggiori richieste e minori risorse in tempi di tagli e crisi del settore.
Le smentite di queste bufale, quando e se ci sono, non trovano mai la stessa enfatica pubblicazione e virale diffusione della balla originaria, che intanto è tracimata e continua a vivere di vita propria: diventa un argomento di discussione nei talk show e davanti alla macchinetta del caffè, mentre sui giornali magari è stata a malapena derubricata a “giallo”. La prima conseguenza è la perdita di credibilità dei giornali e di chi li fa: secondo un recente studio Edelman – che non ha sorpreso nessuno – la maggioranza assoluta degli italiani dichiara di non fidarsi dei media (un paradosso interessante, visto che la pubblicazione di queste “notizie” è spesso giustificata con l’aria che tira e con la necessità di attrarre lettori anche a costo di usare qualche trucco del mestiere).
(Continua a leggere sul sito del Sole 24 Ore)

Una iniziativa di Laura Boldrini contro le bufale, che dobbiamo sostenere tutti

Riporto qui il testo integrale dell’appello, firmato dalla stessa Boldrini e da altri personaggi noti, della rete e del mondo civile, tra i quali Paolo Attivissimo.

Appello per il diritto a una corretta informazione.

Essere informati correttamente è un diritto. Essere disinformati è un pericolo.

Invito tutti i lettori del blog LaParolaDigitale a visitare il sito www.bastabufale.it e sottoscrivere l’ iniziativa

 

Ho deciso di lanciare questo appello perché ritengo che il web sia un importante strumento di conoscenza e democrazia. Ma spesso anche luogo di operazioni spregiudicate, facilitate dalla tendenza delle persone a prediligere informazioni che confermino le proprie idee. In rete sono nati fenomeni nuovi, come le fabbriche di bufale a scopo commerciale o di propaganda politica e certo giornalismo “acchiappaclick”, più interessato a incrementare il numero dei lettori anziché a curare l’attendibilità delle fonti.

Le bufale creano confusione, seminano paure e odio e inquinano irrimediabilmente il dibattito.

Le bufale non sono innocue goliardate. Le bufale possono provocare danni reali alle persone, come si è visto anche nel caso dei vaccini pediatrici, delle terapie mediche improvvisate o delle truffe online.

Questo è il tempo della responsabilità. È necessario mobilitarsi, ciascuno di noi deve fare qualcosa per contrastare la disinformazione e contribuire a tutelare la libertà del web e la dignità di chi utilizza questo spazio che offre enormi opportunità culturali, relazionali ed economiche.

Non si tratta né di bavagli né di censure. Si tratta di reagire e affrontare un problema che ci riguarda tutti. Firmare questo appello significa fare la propria parte e dare il proprio contributo. Alcuni ambiti, poi, sono più esposti di altri e hanno una maggiore responsabilità: la scuola in primis, ma anche l’informazione, le imprese, i social network. A chi vi opera chiediamo uno sforzo aggiuntivo.

FIRMA PER DIRE NO ALLE BUFALE, SÌ ALLA CORRETTA INFORMAZIONE

Laura Boldrini
Presidente della Camera dei deputati
1. SCUOLA E L’UNIVERSITÀ
La scuola e l’università, che sono il motore primo per creare gli anticorpi necessari a contrastare la disinformazione, devono farsi protagoniste di un’azione culturale che tenda a sviluppare l’uso consapevole di Internet. Insegnare a usare gli strumenti logici e informatici per distinguere tra fonti affidabili o meno dovrebbe essere una priorità del sistema educativo, nell’obiettivo di sviluppare senso critico e cultura della verifica.

2. INFORMAZIONE
In questo momento è di primaria importanza che i giornalisti e gli operatori dell’informazione aumentino lo sforzo del fact checking, del debunking – l’attività che consente di smascherare le bufale – e della verifica delle fonti. Così come gli editori dovrebbero, attraverso un investimento mirato, dotare le redazioni di un garante della qualità che sia facilmente accessibile ai cittadini, come già avviene in alcune testate.

3. IMPRESE
L’impegno passa anche per le aziende. Le loro inserzioni pubblicitarie non dovrebbero comparire su siti specializzati nella creazione e diffusione di false notizie, per non finanziare anche involontariamente la disinformazione e per non associare i propri prodotti a questi danni sociali.

4. SOCIAL NETWORK
In quest’ottica un ruolo cruciale lo possono svolgere i social network, che dovrebbero assumersi le loro responsabilità di media company e indirizzare le loro politiche verso una maggiore trasparenza. Per contrastare fake news e discorsi d’odio è essenziale incrementare la collaborazione con le istituzioni e le testate giornalistiche, così come un maggiore investimento in risorse umane e tecnologie adeguate a fronteggiare il problema.

5. CULTURA, SPORT, SPETTACOLO
Ai protagonisti del mondo della cultura, dello sport e dello spettacolo chiedo, in quanto personalità capaci di raggiungere un vasto numero di persone, di spendersi contro le false notizie e la diffusione dell’odio.

Primi firmatari
Paolo Attivissimo
Michelangelo Coltelli
David Puente
Walter Quattrociocchi