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La prima mappa del ‘lato oscuro’ del web. ”Così odio, insulti e fake news viaggiano online

Lo studio dell’University College London ricostrusce le sorgenti e la diffusione dell’odio politico, razziale e antifemminista su internet a partire da 4chan, uno degli ”angoli più bui della Rete”. Nel team l’italiano Gianluca Stringhini: ”La violenza verbale amplificata via YouTube. Poi vengono Wikipedia e Twitter”

ROMA – “Lo studio contiene un linguaggio che può disturbare il lettore”. Non è una frase che si legge di frequente in un paper scientifico. Ma questa volta nel mirino dei ricercatori è finito il ventre oscuro di internet. Quel pozzo pieno di miasmi che vomita ingiurie, notizie false, incita all’odio, conia insulti razzisti, confonde le donne con la pornografia.

“Volevamo capire come questo linguaggio si propaga su internet. E siamo partiti dal sito 4chan” spiega Gianluca Stringhini, 33 anni, laurea in informatica a Genova e dottorato a Santa Barbara, università della California. “Ho fatto una tesi sul cybercrime. Allora non esistevano le fake news”. Ma il mondo di internet degenera in fretta. Oggi Stringhini è assistant professor all’University College London e con un gruppo di colleghi ha avuto l’idea di cercare quali sono le sorgenti dell’odio politico, razziale e antifemminista su internet.

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“Abbiamo seguito 4chan.org per vari mesi durante la campagna elettorale e i primi mesi di presidenza di Donald Trump” spiega. “Poi abbiamo studiato come fake news, insulti e incitamenti all’odio debordano su Youtube, Facebook e Twitter. Lungo il percorso vengono amplificati, a volte anche di molto”. La ricerca di Stringhini e dei suoi colleghi, di cui parla anche la rivista Nature, è pubblicata sul sito arXiv (.pdf).

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Non è un caso che come punto di partenza si sia scelto 4chan, il sito di discussioni dell’alt-right che sostiene Donald Trump. Qui l’offesa “nigger” compare 120 volte all’ora. Alla metà della velocità viaggiano “faggot” e “retard”. “E’ uno degli angoli più bui del web” scrivono i ricercatori. “E anche uno dei più influenti generatori della cultura di internet”, zeppo “di odio, pornografia, provocazioni e perfino confessioni di omicidio”. Da qui, dove ognuno può scrivere ciò che vuole senza fornire la sua identità sapendo che tutto verrà cancellato nel giro di poche ore, è partito tra l’altro il movimento anonymous. Stringhini e i suoi colleghi hanno scelto una particolare sezione, chiamata “politically incorrect” e hanno selezionato i messaggi con termini che esprimevano “xenofobia, razzismo e in generale odio”. In due mesi e mezzo, fra giugno e settembre 2016, ne hanno raccolti 8 milioni.

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“Soprattutto – spiega il ricercatore – ci interessava capire come i contenuti di 4chan si riverberassero sugli altri siti”. In particolar modo la corrente di odio e violenza prende la direzione di YouTube. Subito dopo vengono Wikipedia e Twitter. Più distanti Wikileaks e DonaldJtrump.com. Qui i messaggi violenti conservano l’anonimato, ma non il loro carattere effimero. Gli stessi membri della comunità alt-right spesso copiano quei link e li ripubblicano su 4chan, come in un cerchio.

“A volte i frequentatori di politically incorrect prendono di mira una figura contraria alle loro posizioni” spiega ancora Stringhini. “Inizia allora un bombardamento violentissimo su Youtube, che si chiama raid e arriva a costringere le vittime a cancellare il loro nome dal web”. Il grido di battaglia, su 4chan, è il messaggio “you know what to do”: sai cosa devi fare.

Scherzando, Stringhini racconta che lui e i colleghi dovevano alzarsi periodicamente dal computer e distrarsi guardando foto di gattini. “Non fa bene stare a lungo su siti come 4chan. Non dico che finivamo per convincerci di quel che leggevamo, ma di certo ne sentivamo l’influenza pur essendo solo osservatori esterni”. Il 12% dei messaggi di “politically incorrect” conteneva uno dei termini razzisti o violenti usati dai ricercatori come filtro, mentre su Twitter la percentuale non supera il 2%.

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Chi ci sia dietro ai messaggi virulenti di 4chan sarà oggetto dei prossimi studi. “A volte avevamo l’impressione che non fossero semplici individui, ma partiti o movimenti elettorali. Alcuni post arrivavano dall’estero. Abbiamo studiato soprattutto insulti e fake news di contenuto politico, ma crediamo che lo stesso meccanismo si metta in azione anche per argomenti diversi. Prima si individua un nemico, poi lo si attacca con un raid fino a quando non si riesce a cacciarlo dal web”.