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Internet Facile – Come scoprire se un sito è fatto in WordPress

Esiste un modo “vecchio stile” e molto rapido per scoprire se un sito è fatto con WordPress, si digita /wp-admin nell RIGdegli indirizzi dopo il dominio del sito, per esempio: www.laparola digitale.it/wp-admin. Se compare l’interfaccia di accesso che vi chiede admin e password, siglata con il logo di WP, allora ci siete riusciti, avete la prova provata che quel sito è fatto con il nostro CMS.
Ma eseiste un sito che vi consente si curiosare meglio nei siti fatti con wordpress, oltre a verificarne l’uso come piattaforma di costruzione.
WordPress è la piattaforma di CMS più diffusa al mondo e permette in soli 5 minuti di mettere su un sito web completamente funzionante in tutti i suoi aspetti ed in più con un po più di lavoro possiamo anche creare siti web professionali con tantissime funzioni aggiuntive.

Si chiama BuildWith

Se vuoi sapere se un sito web è stato fatto usando WordPress e sapere molto del sito web come i plugin che sono usati, hosting e tema installato ecco che puoi farlo usando uno strumento web potentissimo.

BuiltWith è un sito web facile e gratuito che permette di scoprire se un sito è fatto con WordPress e se la risposta è affermativa inoltre potrai ottenere molte altre informazioni dettagliate sul dominio indicato.

Accedi a BuildWith

BuiltWith è un potente sito web che semplicemente inserendo il link del sito web da analizzare tirerà fuori tutte le informazioni che desiderate.

In più se il sito è fatto con Worpdress potremo anche scoprire che Widget e Plugin sono installati, che tema viene usato e moltissime altre informazioni dettagliate e divise in categorie.

Insomma con un solo click potremo ottenere le informazioni

Server
Provider delle email
Widget usati
Software di analisi installati
Framework usato
Tema installato
CMS scelto
Ma non solo perchè potremo vedere:

Pubblicità usata
Feed abilitato
Tutto il codice abilitato sul sito web
Insomma davvero di tutto ed in pochissimi secondi. Mettete nei preferiti BuiltWith.

Leggi anche: Internet facile: cosa è un blog e come funziona

Internet Facile – Le teorie della percezione dell’immagine

Qui  riassumo le principali teorie di percezione dell’immagine

La teoria empiristica (1870)
ha come rappresentante più eminente Helmholtz, il quale parte dal presupposto che le ripetute esperienze con l’ambiente influiscano sulla percezione degli oggetti ,
mediante specifi che associazioni tra le sensazioni elementari già apprese.
Il bambino, alla nascita, sarebbe in grado di effettuare solo discriminazioni grossolane, che tendono a specificarsi e specializzarsi gradualmente, con il ripetersi delle esperienze.

New Look, Stati Uniti (anni ’50-’60)
Gli psicologi del New Look, invece, partono da una visione funzionalista della percezione,
che, secondo loro, dipende anche dai bisogni, dagli stati emotivi e dalle aspettati
ve del soggetto. Questi fattori, infatti , sono in grado di alterare o condizionare le
nostre percezioni.
Ad esempio, in uno studio di Jerome Bruner i bambini percepivano come più grande
una moneta da un dollaro rispetto ad un cerchio di cartone di uguale misura, ma ciò
accadeva solo ai bambini poveri!
Questa teoria è sostenuta anche dal Costruttivismo: la percezione è un processo atti
vo e costruttivo nel quale il soggetto interviene con le sue aspettative, conoscenze,
motivazioni. Il processo percettivo dipende quindi dall’interazione tra le caratteristi –
che dello stimolo esterno e le caratteristiche del soggetto che percepisce.

Le tre fasi

Schematizzando veramente molto si può dire che da allora siamo passati attraverso tre fasi di interpretazione e gestione della comunicazione, che io indico con:

impressione 
Sto parlando di una vastissima gamma di simboli visivi le posture del corpo, i gesti, la mimica facciale (espressioni appunto), come anche l’uso dei colori via via perfezionato fino ad arrivare ai bellissimi graffiti in grotta realizzati 40.000 anni fa dai Cro-Magnon, (che erano uomini del paleolitico superiore arrivati per primi in europa). Consideriamo il dato che la prima perlina colorata trovata dai paleoantropologi in Africa risale a 200.000 anni fa
Questo tipo di espressione era funzionale ad una società di cacciatori-raccoglitori. Voglio dire: se stai cacciando il mammuth con gli altri componenti della tua tribù, oppure se una tigre dai denti a sciabola sta cacciando te, non hai tempo per le chiacchiere, al massimo cacci un urlo.
Sembra che il linguaggio si sia evoluto compiutamente solo 400 000 anni fa, probabilmente in un periodo più rilassato.

Linguaggio
Il nostro stesso organismo si è adattato per permetterci di articolare parole, una rivoluzione enorme che ha fatto la fortuna della nostra specie (specificare meglio), il problema era che la massa delle informazioni trasmesse andava facilmente perduta.

Scrittura
Nata 3000 e più anni fa consentiva all’inizio di conservare dati per lo più contabili, necessari alle organizzazioni urbane del neolitico(specificare meglio), Successivamente diventò uno strumento abbastanza raffinato per conservare e tramadare narrazioni (epopea di Gilghamesh, Iliade,ecc). Per questo motivo fu ostacolata anche da grandi pensatori ell’epoca, pare che Aristotele fosse fieramente contrario alla trascrizione dei propri discorsi che infatti ci furono tramandati da Platone, probabilmente,insieme ad Erodoto, il primo grande divulgatore del mondo moderno. Ma qui siamo già all’inizio della terza fase che vorrei chiamare della comunicazione moderna, (definizione ed etimologia)

Oggi, grazie ad internet, torniamo ad Altamira, ma approfondirò la questione.

Internet facile: cosa vuole dire interattività

Nel campo dell’interazione uomo-macchina, l’interattività è la possibilità per un utente di:
ottenere un’azione dal dispositivo che utilizza, o
intervenire sul servizio che riceve a distanza (banche dati, telesorveglianza,sistemi di comunicazione,ecc.).
Esistono quindi due tipi di interazione possibile: 1) fra utente e apparecchio; 2) fra utente e fornitore del servizio.
Quando l’utente trasmette un’informazione al sistema che sta utilizzando, interagisce con esso; grazie a questa interazione, il sistema può deviare dal suo comportamento prefissato ed adeguarsi alle esigenze dell’utente.
Per capire meglio tutto ciò che riguarda la rete mi sembra indispensabile chiarire bene il senso di una parola:

“Interattività”

La sentiamo e la leggiamo usata in tanti modi diversi. Perdonatemi questa pignoleria “socratica”, ma se non si stabilisce bene il senso delle parole si rischia di non capirsi; e su questo argomento la confusione abbonda. È uno solo il significato di “interattività” nel mondo di cui parliamo qui, sulla “frontiera elettronica”, sulla cresta della “quarta ondata”.

Sentiamo dire che un’interfaccia è “interattiva” perché se diamo un certo comando, o premiamo un certo pulsante, esegue un ordine; o perché se scegliamo, una domanda, in una serie già predisposta, ci dà la risposta precostituita.

E magari se sbagliamo, o diamo un comando non previsto, emette un segnale acustico e ci dice “No! questo non si può fare”. Sarebbe come dire che è “interattiva” una macchinetta per la distribuzione del caffè che ci permette di sceglierlo dolce o amaro, con o senza latte; o la spia della pressione dell’olio sul cruscotto della nostra automobile.

 

Sentiamo dire che un gioco è “interattivo” perché segue una sua logica precostituita e non ci fa “vincere” se non siamo abbastanza abili, veloci o ragionanti per capire dove sono le trappole o gli indovinelli; o perché alle nostre “mosse” contrappone le sue risposte, secondo le regole stabilite da chi ha scritto il programma.

Per quanto raffinato, complesso, ingegnoso e divertente possa essere il gioco, non è più interattivo di un giocattolo elettrico che accende una lucina, o emette un suono di approvazione, quando il bambino sceglie la risposta giusta; e invece grugnisce se la risposta è sbagliata.

Di questo passo, si potrebbe definire “interattivo” un biglietto della lotteria “gratta e vinci”.

Cerchiamo di semplificare: se ciò con cui “interagiamo” è una macchina, o un programma automatico, e non una persona, non si tratta di “interattività” nel senso più importante della parola.

Ci sono anche situazioni umane, per esempio trasmissioni televisive, che si definiscono “interattive”, perché il pubblico può rispondere facendo un certo numero di telefono, e “votare”; o perché arrivano direttamente al conduttore, in diretta, le telefonate dei telespettatori.

Come ho già detto, questa è interattività “finta“. Perché qualcuno, unilateralmente, stabilisce le regole, definisce i criteri, governa il dialogo come vuole; e tutti gli altri non possono far altro che muoversi all’interno di piccoli spazi ben definiti. E non cambierà affatto la situazione se un giorno, invece di usare il telefono, lo spettatore potrà premere un pulsante.

Se e quando ci saranno 500 canali, video on demand, collegamenti con giornali, riviste, biblioteche, cineteche e gallerie di negozi online attraverso un televisore digitale, eccetera… lo spettatore (se lo vorrà) avrà più potere, perché avrà più libertà di scelta.

Ma non ci raccontino favole: non sarà una situazione “interattiva”. Se no dovremmo chiamare “interattivo” il telecomando, o il dito che volta la pagina di un giornale, o la mano che sceglie negli scaffali di una libreria o di un supermercato.

Tale è la confusione nell’uso di questo termine che c’è chi commette l’errore contrario: in alcuni studi americani (e anche italiani) viene definito “non interattivo” lo scambio di opinioni quando non avviene in tempo reale.

Di conseguenza possiamo dire che la vera interattività tra esseri umani oggi è fruibile tramite blog e soprattutto social network, con tutti i vantaggi e gli enormi problemi che abbiamo appena cominciato a intravedere.

“Interattività”, secondo me, significa una cosa molto precisa. Un dialogo ad armi pari, in cui nessuno ha privilegi, in cui tutti hanno la stessa “quota di voce” e lo stesso diritto di parola. Al di là di ogni dibattuto terminologico, che potrebbe anche essere pedante e inutile, ciò che conta è la sostanza.

L’interattività umana è il terreno su cui deve imparare a muoversi chi vuol fare comunicazione nella rete, che non sia solo una “brutta copia” di metodi è meglio riservare a quei mezzi per cui sono nati.

Ed è il valore che ognuno di noi dovrebbe cercare nella rete e nelle reti, perché ciò di cui oggi possiamo disporre non è solo un’immensa riserva di dati e di informazioni, ma anche una straordinaria occasione di incontro fra persone.

Leggi anche:  Internet Facile – Cos’è e a che serve l’Interfaccia Utente

 

 

Internet facile: come funziona internet

Come funziona

La struttura del sistema è tale che la sede fisica del “sito” con cui ci si collega è irrilevante: in pratica non c’è alcuna differenza, né funzionale, né di costo, fra collegarsi con un “sito” (o un utente) a pochi metri di distanza o all’altro capo del pianeta.

È anche costruito in modo che non si sia un singolo percorso da un punto all’altro del sistema, ma che fra i nodi ci siano molti diversi percorsi possibili e il sistema possa scegliere, secondo la situazione, la strada più adatta.

Sistema Rete: centralizzato, decentralizzato, distribuita,

In un sistema centralizzato, tutti i segnali passano da un unico punto.

In un sistema decentralizzato, un punto “vicino” può essere raggiunto attraverso un nodo periferico, ma un punto “remoto” può essere raggiunto solo passando dal centro (evidentemente da “distanza” non è determinata tanto dallo spazio fisico quanto dalla struttura del sistema).

In una rete distribuita, l’informazione può percorrere molte strade diverse e scegliere in ogni momento il percorso più adatto per arrivare a destinazione, indipendentemente dalla distanza. Questo è il modello su cui è costruita la struttura dell’internet.

Le trasmissioni via internet avvengono con un sistema “a pacchetti” per cui ogni messaggio viene scomposto in parti che viaggiano separatamente e vengono ricomposte all’arrivo.

Una tecnologia chiamata TCP/IP (Transmission Control Protocol – Internet Protocol) permette a tutti i sistemi connessi di interagire fra loro, senza una “gerarchia” rigida: cioè ogni “nodo” connesso può raggiungerne un altro scegliendo percorsi diversi secondo la situazione.

Nel caso che un nesso intermedio non sia accessibile in quel momento, la comunicazione arriverà per un’altra via all’indirizzo stabilito (questa flessibilità rende il sistema più simile a una macchina analogica, come il cervello umano, che a un computer).

Esiste una gerarchia internazionale di organizzazioni il cui compito è definire i domain internet, cioè il sistema su cui si basano gli indirizzi; ma non gestire le reti (che, come abbiamo detto, sono completamente autonome e indipendenti).

Gli scambi all’interno del sistema sono sostanzialmente gratuiti, perché basati sulla reciprocità: ogni “nodo” collegato dà e riceve servizio.

Questo sistema ha permesso alla rete di sopravvivere e crescere anche dopo la fine dei finanziamenti pubblici su cui si era originalmente basata la cosiddetta backbone (“spina dorsale”) americana e dalle reti universitarie che ne sono state, fino a qualche anno fa, la struttura portante.

Possono essere a pagamento le due estremità del sistema: il collegamento fra l’utente e il “nodo” di cui si serve (Internet Service Provider); e, al polo opposto, il servizio offerto da qualcuno sul “sito” con cui ci colleghiamo (anche se in pratica, una volta ottenuto l’accesso alla rete tramite un provider o un’organizzazione di cui si fa parte, quasi tutti i siti cui vogliamo accedere sono gratuiti).

Ma la struttura della rete, in quanto tale, è basata su scambi gratuiti di reciproco servizio.

C’è un limite tecnico allo sviluppo della rete, perché la potenzialità quantitativa del “protocollo” TCP/IP, anche se enormemente grande rispetto alle esigenze che si potevano immaginare vent’anni fa, non è infinita.

Si stanno elaborando le soluzioni tecniche necessarie per superare il limite. Non so quale sarà la soluzione definitiva (il problema non è tanto definire la tecnologia, quanto farla condividere a milioni di impianti tecnici in tutto il mondo) ma ormai gli interessi in gioco, culturali, organizzativi, strutturali ed economici sono tali che sicuramente si troverà.

Oggi la rete è prevalentemente wireless, infatti gli smartphone perennemente connessi via intenet ormai sono più numerosi dei computer tradizionali.

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Internet facile: cosa è il World Wide Web

Il World Wide Web (letteralmente “rete di grandezza mondiale“), abbreviato Web, sigla WWW, è uno dei principali servizi di Internet.

Permette di navigare e usufruire di un insieme vastissimo di contenuti amatoriali e professionali (multimediali e non) collegati tra loro attraverso legami (link), e di ulteriori servizi accessibili a tutti o ad una parte selezionata degli utenti di Internet.

Questa facile reperibilità di informazioni è resa possibile oltre che dai protocolli di rete anche dalla presenza, diffusione, facilità d’uso ed efficienza dei motori di ricerca e dei web browser in un modello di architettura di rete definito client-server.

La storia del world wide web

Una profonda rivoluzione nella rete è stata portata nel 1994 (in Italia, un anno dopo) da una nuova tecnologia, basata sul protocollo HTTP (Hyper-Text Transfer Protocol) e sul linguaggio “ipertestuale” HTML (Hyper-Text Markup Language), chiamata World Wide Web, o www, o the Web, la ragnatela.

Questa tecnologia che mette in grado tutti i pc di interagire condividendo contenuti era stata concepita nel 1990 da Tim Berners-Lee del CERN di Ginevra (il laboratorio europeo per la fisica delle particelle) come un sistema più efficiente di comunicazione per la comunità scientifica.

Ma pochi anni dopo ebbe una diffusione che nessuno, compreso il suo inventore, aveva immaginato.

Tale è stato il successo di questa innovazione che oggi sembra essere “solo quello” il volto dell’internet.

Molti nuovi utenti non conoscono la rete se non attraverso un browser. Chrome, Internet Explorer, Safari, Fire fox ecc. Programmi nati appunto per visualizzare sullo schermo del computer pagine contenenti testo e grafica scritte in linguaggio html.

Nulla di male, perché la tecnologia è solida, l’interfaccia è di facile uso, i browser si arricchiscono di nuove funzioni, e con un po’ di attenzione si scopre che è possibile accedere, anche per quella via, a tutti i sistemi e servizi connessi all’internet.

Ma… ci sono due problemi.
Il primo è che se non si guarda oltre la “facciata” si può credere che “essere in rete” voglia dire solo andare in giro a guardare “siti web”, per vedere immagini, raccogliere informazioni, prelevare testi o software.

Con tanti saluti all’interattività, che consente appunto di cambiarsi e creare propri contenuti, pubblicandoli online.

Il secondo problema,  sempre più pressante, risente della scarsità di strumenti e formazione individuale indispensabile per filtrare contenuti,  che oggi possono essere pubblicati sul web  da chiunque senza alcun controllo.

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Internet facile: breve storia di internet

Sono passati quasi trent’anni dalle origini della rete. Quindi la storia della rete internet non è più così recente

La prima base, da cui deriva ciò che oggi chiamiamo internet, nacque nel 1969 negli Stati Uniti per opera di scienziati e tecnici che lavoravano per l’ARPA (Advanced Research Project Agency) del Ministero della Difesa degli Stati Uniti.

Fin dall’inizio era chiaro che le finalità del progetto non erano solo militari.

Si costruì un sistema di comunicazione che potesse sopravvivere non solo nel caso di catastrofi ma anche nei momenti di inefficienza, per temporaneo guasto o manutenzione (che erano frequenti nei sistemi informatici del tempo, basati non su reti, ma su singole complesse macchine).

Si chiamava ARPA-net. All’inizio connetteva pochi grossi calcolatori.
Fin dall’inizio erano coinvolte alcune grosse strutture universitarie, che presto si impadronirono del sistema e lo misero al servizio della comunità scientifica.

La National Science Foundation costituì una rete chiamata NSF-net, che prese il sopravvento e alla fine degli anni ’80 incorporò ARPA-net (che fu abbandonata dai militari e scomparve, ormai dimenticata da tutti, nel 1990).

Erano nate altre reti, come UseNet, HepNet e BitNet; ma gli utenti delle varie reti volevano comunicare fra loro, e così le reti si collegarono, usando il protocollo TCP/IP, che divenne lo standard comune nel 1983.

Così era nata quella che poi prese il nome di inter-rete, cioè internet.

Il numero dei calcolatori connessi cresceva continuamente.

Nel 1981 erano connessi 213 grossi calcolatori.

Nel 1991 erano 376.000 computer; l’anno dopo, il doppio, e così via. Si stima che oggi siano più di sei milioni.

A questi computer connessi alla rete si collegano a loro volta i singoli computer, o le reti interne, degli utenti, che nel mondo sono decine di milioni.

A gennaio 2016 il numero degli utenti di internet era stimato in 3419 miliardi .

Le prime connessioni universitarie italiane con la rete internazionale (che ancora non si chiamava internet) furono stabiliti con ButNet e HepNet nel 1982; il primo collegamento internet fu quello del Cnuce a Pisa nel 1982.

Nel mondo scientifico e universitario, all’inizio la presenza in rete fu dominata dalle facoltà di fisica; arrivarono più tardi i dipartimenti di scienza dell’informazione.

Fino a pochi anni fa, il sistema internet era usato quasi solo da alcuni grandi enti pubblici e da alcune facoltà universitarie, specialmente nel campo della fisica.

Erano pochi i “privati” che avevano un accesso in rete; la comunicazione fra le non molte persone collegate avveniva in buona parte con un altro sistema, l’echomail, gestito volontariamente dai BBS collegati a FidoNet o a altre reti che usano la cosiddetta “tecnologia fido”, diffusa nel mondo, e anche in Italia, dall’inizio degli anni ’80.

Solo a partire dal 1994 si è diffusa la disponibilità di accessi internet “per tutti”; e su questa base si è sovrapposta quasi subito una nuova tecnologia, quella della World Wide Web – tanto è vero che oggi molti credono che sia quello l’unico volto della rete.

Fonte dei dati usati per questo articolo: http://www.gandalf.it/net/internet.htm#heading02

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Internet facile: cosa è Internet

Comincia da questo articolo una serie di lezioni che hanno lo scopo di spiegare in termini chiari e concisi i concetti base del web.

Troveremo risposte su temi basilari, dedicate a chi ha vuole “imparare” internet da zero oppure a chi ha ancora le idee un poco confuse.

Iniziamo da:

Cosa è Internet

Le reti “telematiche” esistono da più di vent’anni. Ma il fenomeno di cui si parla oggi, genericamente definito “internet”, nella forma in cui lo conosciamo è nato in Italia nel 1994; e nel resto del mondo non molto prima.

Internet è un insieme di decine di migliaia di reti di computer, collegati tra loro generalmente via cavo, ognuna completamente autonoma.

In pratica si questo insieme di reti si comporta come se fosse una rete unica; e di fatto è un unico sistema, continuo e intercomunicante.

Questo sistema è policentrico, non ha un “governo” centrale; non solo ogni rete, ma ogni operatore è libero e indipendente.

L’internet è un sistema che permette a diverse reti di collegarsi fra loro, in modo che chi è collegato a una delle reti può comunicare con chiunque sia collegato a una qualsiasi delle altre.

In pratica dà a chi si collega la percezione di muoversi in un singolo sistema globale; e il servizio che dà è proprio come se lo fosse.

Oggi, in pratica, l’internet è un sistema che permette di collegarsi con qualsiasi persona, organizzazione o “sito” che abbia un indirizzo su una delle tante reti connesse; e così facendo svolgere una delle tante attività diverse consentite non solo dalla tecnologia, ma soprattutto dai servizi che vengono messi a disposizione.

Non tutte le reti del mondo sono collegate all’internet (e tantomeno tutti i computer); ma chiunque voglia farlo si può collegare al sistema.

Siamo tutti, contemporaneamente, spettatori e protagonisti: il sistema ci permette di essere davvero, e totalmente, interattivi.

Il sistema funziona su scala planetaria; non ha sede geografica, né confini.

Si suddivide in comunità che non dipendono dal luogo fisico ma sono definite, per aree di interesse e di argomento e per la natura dello scambio, dalla libera scelta di tutti coloro che usano il sistema.

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Scrivere i testi per il web secondo le regole dell’usability indicate dal metodo Nielsen

I TESTI, in questo articolo analizziamo lo stile e l’impaginazione del testo, senza soffermarci sui contenuti,  come indicate dalla usability,( un sistema di controllo dei siti proposto a suo tempo da Jackob Nielsen), in quanto una buona organizzazione del testo contribuisce a rendere la pagina più accattivante già alla prima occhiata, che è quella che conta.

Come da “metodo Nielsen” ecco un elenco di punti da verificare in fase di progettazione e valutazione del progetto di user experience, visto che lo scopo de “laparoladigitale” è appunto l’insegnamento della progettazione web partendo dalle basi, ho commentato ed approfondito i singoli punti, per renderli chiari anche ai non professionisti.

• Linguaggio “userfocused”?: Ogni comunicazione è rivolta ad un pubblico specifico, se realizzate testi per un sito che riporta favole per bambini userete un italiano semplice e diretto, mentre pagine dedicate alla psicoanalisi Junghiana possono richiedere un italiano più evoluto e specialistico.

• Informazioni ridondanti?: Esiste uno scopo per questo? informazioni identiche vengono ripetute più volte in differenti pagine? Per mia esperienza è bene rendere più facilmente accessibili le informazioni determinanti, ma la maggior parte delle volte sono sufficienti link specifici che riportano ad esse sistemati nei punti nevralgici elle vostre pagine.

• Slogan autoesplicativi?: Se fate un’affermazione importante cercate di essere chiari, le vostre frasi devono essere comprese immediatamente, anche da chi visita il vostro sito per la prima volte (la maggioranza dei vistatori cioè).

• Linguaggio “morbido” oppure “imperativo”?: Viene da pensare che un tono affermativo possa essere più coinvolgente, ma considerate che il vostro visitatore non sempre è determinato a seguire le vostre pagine. Un giusto mix può risultare coinvolgente e si ottiene mescolando testi semplici, diretti con dati interessanti.

• Utilizzare collegamenti stili tra testi collegati, o all’interno di
elenchi?:  Se volete organizzare il testo del vostro articolo come un elenco, vi consiglio di inserire più testo possibile ad approfondimento della singola voce, usate link di rimando solo se i contenuti che dovete proporre sono molto lunghi o multimediali.

• Mantenere distinti gli stili di elementi di contenuto diversi?: per fare un esempio proponendo una ricetta è buona cosa mettere gli ingredienti per primi, impaginati a blocchetto, magari in corsivo e colorati diversamente dal testo che spiega la realizzazione della ricetta, impaginato a blocchetto, nero.

• “Etichette” o titoli sono utili?:  Assolutamente sì, usate i titoli di paragrafo per definire meglio l’argomento e le didascalie per le foto. Questi accorgimenti rendono più facile la lettura, anche visivamente, proponendo più “punti di interesse” ed inoltre favoriscono la indicizzazione sui motori di ricerca.

• Gli elenchi contengono almeno due voci?: Certamente altrimenti che elenchi sono?

• Parole interrotte e portate a capo?:  Da evitare qualsiasi cosa che possa rendere meno scorrevole la lettura del testo, quindi parole spezzate oppure a capo vanno evitati.

• Abbreviazioni e acronimi chiari? Coerenti?: Usate le abbreviazioni solo se sono molto conosciute (ecc. invece di eccetera va bene). Acronimi tecnici anche (html invece di hyper text markup language, anche, però almeno la prima volta che lo usate in ogni articolo indicate anche la forma estesa).

• Perché testi enfatizzati: (punti esclamativi! P A R O L E
staccate o p.u.n.t.a.t.e.)?:  A parte il punto esclamativo da usare con parsimonia (uno basta e avanza) i testi enfatizzati servono solo a passare per “urlatori” maleducati e fuori luogo!

I vantaggi del metodo Nielsen: poco costoso, aumenta visite e fidelizzazione al tuo sito

Continuo la descrizione del metodo Nielsen per la progettazione di interfacce grafiche e/o siti web, che ho iniziato nello scorso tutorial in cui davo una definizione del concetto di web usability, e spiegavo aumentare la visibilità del vostro sito web e la fidelizzazione degli utenti con il metodo Nielsen

Il metodo Nielsen offre numerosi vantaggi:

1. Criteri per valutare l’efficacia di un sito e/o di un’interfaccia grafica commerciale

J.(profeta)Nielsen offre con il suo metodo la possibilità di adottare criteri per la progettazione di un sito internet efficace. Evitando così il lavoro costoso e frustrante di aggiustamento dei contenuti e della ridisposizione degli stessi a sito pubblicato.

2. Approccio semplice e poco costoso

Evidentemente riuscire ad anticipare le esigenze del nostro target prima della costruzione del sito comporta una diminuzione notevole di tempi e costi. Ciò non toglie che comunque ogni tipo di comunicazione online va costantemente monitorata e modificata secondo l’evoluzione di fattori esterni ed interni.

3. Offre criteri che combinano:

– Aspetti tecnici (ad es. velocità di caricamento, risoluzione video, ecc.)
– Aspetti comunicazionali (efficacia dei contenuti,immediatezza comunicativa, ecc.)
– Aspetti legati al business (cosa si vuole valorizzare in un sito, ecc.)

4. Soddisfa l’utente di riferimento (a chi il sito è destinato)

– Si applica l’utente tipo del sito. Ipotizza variabili
– Classifica gli utenti per categorie o tipologie

5. L’obiettivo di riferimento

– cosa si vuol fare con il sito? Informare o vendere? Sito di presenza, vetrina, vendita?
– quale messaggio si intende veicolare?
– in che modo?

6. Gli strumenti a disposizione

– quale tecnologia o modalità di design si adopera in coerenza con quanto sopra indicato?
–  Quali criteri sono stati seguiti nella scrittura ed impaginazione dei testi?

Però presenta limitazioni

1. Propone valutazioni soggettive e non confermate dai fatti

_Infatti non indica criteri di progettazione ma “indicazioni e suggerimenti” per“ focalizzare l’attenzione” del progettista
– Non fornisce indicazioni precise sui punti critici che potrebbero determinare una modesta usabilità
– Lascia al progettista la valutazione sulla coerenza o meno con gli obiettivi del sito, dell’azienda, ecc.

2. Fornisce più che altro definizione di “linee guida” o “check list”

per valutare (qualitativamente) l’efficacia di un sito esistente o in progetto

3. Ha i limiti di un approccio di derivazione prati

(ossia considerazioni ricavate dal “buon senso” nell’esperienza professionale) e non teorica (ossia deduzioni o conclusioni sulla base di modelli

Ecco come capire quando un sito è progettato male secondo Nielsen e secondo me

fateci caso una buona metà dei siti che continuiamo a vedere risentono di una di queste impostazioni sbagliate che ne impediscono il successo.

Sito uguale o in linea con la “ brochure” o depliant aziendale” ne ne ripropone pari pari lo svolgimento
Sito organizzato per contenuti che riproducono la struttura aziendale interna
(ad es. sito che ricalca l’organigramma e la suddivisione in funzioni, dipartimenti, uffici, ecc.)
Contenuti riprodotti con lo stesso identico stile “ interno” usato in azienda
, quindi con organizzazione dei testi adatte tutt’all più per un house organ (termini usati, tipi di contenuti, ecc.)
Sito che punta solo all’effetto del design delle pagine,delle immagini, delle animazioni
(grazie al cielo il periodo di Flash è finito, ma stanno rinascendo siti che contano solamente su grandi immagini a pieno schermo e magari in movimento.
Sito non interconnesso con il resto del Web, è un argomento più tecnico ma importantissimo: un sito internet “vive” in rete e deve essere immerso nel traffico di dati, senza collegamenti con altre realtà on line questo non è possibile e quindi il sito resta inutilizzato
Sito trattato come un qualunque altro progetto aziendale“ interno”, (mentre è uno strumento di comunicazione), il responsabile IT aziendale raramente è un progettista di interfacce grafiche, corre il rischio quindi di realizzare un sito tecnicamente ineccepibile ma gestibile con difficoltà dagli utenti.